Sole bruciato
(romanzo, traduzione dall’albanese di Elio Miracco,
revisione di Elvira Dones e Fausto Vitaliano,
Feltrinelli editore, Milano, 2001)
Premio Latisana per il Nord-Est 2001
da pag. 14:
Sopporto con pazienza, devo solo aspettare che il mio corpo arrivi a casa. Voglio vedere per l’ultima volta mamma e per la prima volta la tomba di Aurora. Dopodiché, me ne andrò, una volta e per sempre. È lunedì. Il lunedì è sempre stato il mio giorno fortunato. Oggi è lunedì. Lunedì, 5 marzo 1997.
Riesco a vedere il mio corpo fatto a fette come un melone e contemporaneamente l’uomo che lo ha ridotto così. Piange, ma sta attento a non farsi scoprire, a non uscire dalla colonna dietro cui si è nascosto. È una cosa alquanto strana vedere te stessa dentro una bara. Sapere che non potrai più toccare nessuno, né bere una tazza di caffè o pettinarti. Fa un certo effetto anche vedere chi ha pugnalato il tuo corpo e non potere apparirgli davanti in veste di fantasma, facendolo urlare di spavento come in una tragedia, in una allucinante corsa senza fine.
Lui sta soffrendo. Certo, soffre, ma non abbastanza da costituirsi alla polizia. Tanto sa bene che l’indagine si chiuderà in fretta. Per un po’ di tempo cercheranno l’ennesimo assassino dell’ennesima prostituta, dopodiché tutto sarà archiviato. Non vale proprio la pena di sprecare denaro pubblico per una puttana venuta da Laggiù. Selvaggi, ci tocca pure sopportarli. Non potevano capitarci vicini migliori invece di questi disperati, loro e la loro terra desolata? Ma i vicini, esattamente come i parenti, non li puoi scegliere: se ti è toccato in sorte un parente debosciato sei finito, devi tenertelo per tutta la vita. E quando ti capita un vicino miserabile hai due vie d’uscita: o lo riduci in schiavitù o cambi casa. Ma gli stati non cambiano casa: possono però cambiare le cose – i costumi e le usanze, le strategie e gli eserciti, i governanti e gli alleati. Se lo desiderano, perfino i nomi, ma la casa no.
Quanto a tener sotto controllo quella gente disperata, be’, purtroppo questo è per il momento impossibile.
Il mio dossier si riempirà di polvere, chiuso dentro qualche scaffale. Lì ci sono le mie fotografie di quando facevo la puttana, con quel trucco osceno che odiavo con tutta me stessa. E anche quelle del mio corpo squartato come una bestia da macello.
Un tipo della Criminale scattava foto canticchiando una canzonetta di successo. Mi fotografava il collo da pochi centimetri. Stava accucciato, con le gambe appoggiate sulle costole. Piegato in due, scattava e canticchiava. Mentre è tutto impegnato nell’operazione, gli squilla il cellulare.
Ehi, ciao… No, ora non posso… È urgente? Senti, ne parliamo stasera, ora sono preso… Ma no, niente di che, hanno ammazzato una puttana… Come dici? No, proprio massacrata, non puoi avere idea… L’hanno ridotta uno spezzatino…
Do veramente quest’impressione? Io non sono una puttana, non lo sono mai stata. Fortuna che tenevo in tasca un foglio con il mio nome e cognome. E fortuna che la polizia l’ha trovato. Almeno potranno risalire alla mia identità e avvertire i miei genitori.
Vabbè, occhei, ma però, anche tu… Eddài, nun t’arrabbià, su… Ne parliamo stasera… E vabbè… Occhei, ti porto a cena… Senti, nun t’spettà chissacché, vabbè? Eh, sto un po’ a corto… Eh, sì, una pizza… Occhei… Vabbè… Sì, ciao, un bacio… Anch’io… Sì, scusa, ciao.
Eccheppalle!, sbottò il fotografo. Che strazio, ’sta donna. Spense il cellulare e continuò a scattare finché non gli dissero che bastava.
Papà si asciuga il sudore. Piange tanto da far gemere il legno del traghetto. Perdonami, papà. Non ti meritavi un colpo simile. Fortuna che i cadaveri non arrossiscono, altrimenti non sarei riuscita nemmeno a guardarti negli occhi. Non volevo tornare viva, come avrei potuto ingannarvi? …
da pag. 75:
“Carissime ragazze,” dice tentando a fatica di dominare l’irritazione. “Mi piacerebbe moltissimo chiudere questo lavoro prima di notte. Quindi, per piacere, niente manfrine. Io faccio l’appello e voi rispondete. Chiaro? Altrimenti sono pronto a cambiare metodo. Mi sono spiegato? Allora, chi è Elena?”
La ragazza alza leggermente la mano e lo guarda negli occhi. Bajram le sorride in segno di approvazione.
“Quanti anni hai, Elena?”
“Sedici.”
“Anche voialtre, quando mi dite il nome, aggiungete l’età.”
Laura. È quasi sul punto di piangere. Diciotto. Teuta. Un passo avanti, diciassette. Entela. Quattordici. Bene. Questa si chiama… cos’hai scritto qui, Giafer? Fatma? Fatma. Quindici. Lindita. Sedici. Maja. Diciotto. Ines, oh, ma che bel nome! Quindici. Claudia. Anch’io. Anch’io cosa? Quindici anni come Ines. E l’ultima, Belinda, sei tu? Diciassette.
“Cosa ne pensi, Giafer?”
Giafer non risponde.
“Direi che è merce di gran valore. Noi, alla loro età, bellezze simili ce le sognavamo Laggiù. Manco a pensarci. Ma oggi,” lancia un fischio di ammirazione. “Che qualità sopraffina, ragazzi.”
Giafer sorride, ma solo per mascherare la tensione. Bajram fischia di nuovo. Quindi si alza in piedi e incrocia le braccia al petto.
“Ora, ragazze, lasciamo stare i preamboli e andiamo al sodo, perché il tempo è denaro e noi non vogliamo né perdere né sprecare denaro, giusto? Le cose sono semplici. Penso che sia evidente perché vi abbiamo portato da questa parte del mare. Laggiù tutti fanno il diavolo a quattro per poter venire di qua e sognare una vita migliore. Mentre a voi, senza che abbiate dovuto muovere un solo dito, la fortuna è venuta a bussare alla porta.”
Si sente il sorriso sguaiato di Giafer.
“Credetemi, è molto meglio stare a lavorare qui piuttosto che rimanere a marcire Laggiù, senza nemmeno poter governare la propria ombra. Qui lavorerete e noi vi pagheremo. Ma, come ogni lavoro che si rispetti, anche questo ha delle regole. Regola numero uno: ubbidienza. Voi ci ubbidite e noi vi lasceremo vivere da esseri umani. Regola numero due: qualsiasi richiesta del cliente deve essere soddisfatta. La sua parola deve essere legge per voi. Regola tre: i soldi si consegnano ogni mattina al rispettivo capo, nel vostro caso a Giafer, che come vedete è uno dei miei aiutanti. Fra alcune settimane, al posto di Giafer nomineremo un altro responsabile, perché questo signore – e fa un mezzo giro in direzione del suo uomo – passa a incarichi di maggiore responsabilità. Regola quattro: alle famiglie Laggiù direte che lavorate come cameriere o come commesse nei supermercati o nei negozi. Le telefonate saranno controllate da noi e dureranno lo stretto tempo necessario, né un minuto di più né uno di meno. Ciò significa che parlerete in maniera da non far nascere in loro alcun dubbio inutile. Ci siamo capiti? Regola cinque: dovete fare il possibile per non essere acciuffate dalla polizia.”
Bajram ripeté ancora due volte l’ultima regola sillabando ogni parola.
“Se cadete nelle loro mani, siete perdute.”
Una delle ragazze alza la mano. Bajram guarda l’elenco.
“Tu sei… Entela, giusto? Qual è il problema, Entela?”
“Ecco… Io un lavoro ce l’ho, non è necessario che me lo troviate voi.”
Ecco, gliel’ho detto, pensa la piccola. Quest’uomo non ha poi l’aspetto così duro, ci siamo prese tanta paura senza motivo. Attende in silenzio. La compagna alla destra le prende di nuovo la mano ed Entela gliela stringe.
“Che lavoro ti hanno trovato, Entela?”
“In… in una famiglia. Io… cioè, zio Veli, l’amico di mio padre e sua moglie, mi hanno trovato un lavoro da bambinaia in una famiglia ricca.”
“Bambinaia? Alla tua età? Ma se sei tu ad avere bisogno di una bambinaia. Quale famiglia ti affiderebbe i propri bambini? Certo, tutto è possibile, ci mancherebbe. Solo, mi chiedo come può essere successo che non siamo venuti a saperlo.”
Bajram sorride con benevolenza. In fondo è tanto giovane, beata innocenza. Bene, fa Entela, sollevata. Le esce un sospiro. Io lo sapevo che vi eravate confusi. Sorride all’uomo. Com’è elegante, e anche ben profumato.
“Se avvisate zio Veli di venire a prendermi… Perché sicuramente saranno preoccupati. Zia Hajra, la moglie, era di casa da noi, Laggiù. È lei che mi porterà da quella famiglia.”
“Dimmi un po’, Entela. Secondo te perché zio e zia ti hanno portato qui da noi?”
“Non saprei…” dice la ragazza, confusa.
La compagna di destra, Fatma le sembra si chiami, le stringe la mano ancora più forte.
“Su, Entela,” insiste Bajram pieno di bontà. “Fa’ uno sforzo. Come ti spieghi che tu sei qui e non nella famosa famiglia?”
“Zio Veli mi ha detto solo di dormire qui due notti perché loro dovevano partire e non c’era nessuno a casa. Mi hanno portata nella bella casa che hanno e…”
L’uomo elegante adesso non ride più. Le tempie delle altre ragazze pulsano per la tensione. Hanno paura che l’uomo s’innervosisca e perciò abbassano la testa.
“Conosco bene la casa di zio Veli, Entela, e ti garantisco che quella non è casa sua, ma nostra. Capisci?” Giafer ha una smorfia strana nel viso. “Veli ti ha portato qui per farti lavorare per me.”
Entela sgrana gli occhi.
“Veli lavora per me, ragazza mia, così come Giafer, il signore qui al mio fianco.”
da pag. 233:
Ho raccontato alla polizia per filo e per segno tutta la nostra storia. Ma quanto più raccontavo, tanto più incredibile suonava ciò che dicevo, perfino alle mie stesse orecchie. Nel frattempo, in un’altra stanza, a Minira erano stati somministrati dei sedativi. Elencai i nomi degli uomini che conoscevo, riferii i nomi e anche i soprannomi che avevo sentito. Mi sforzai di indicare con quanta più precisione potevo dove portavano a dormire i bambini che facevano lavorare come mendicanti. A quanto capii, la polizia non era a conoscenza dell’esistenza di quel capannone. La nostra banda, quella dei boss che sono amici di Lui, la conoscevo in ogni particolare, così che mi ci volle molto tempo per raccontare le cose senza imbrogliarmi. La polizia voleva notizie anche delle bande delle altre città, ma di quelle non sapevo granché. Il capo dei poliziotti, tuttavia, sembrava soddisfatto. Mi disse che avevo fatto luce su cose importanti. Quando gli raccontai delle torture, degli stupri di gruppo e dei soldi che dovevamo consegnare ai boss per restare vive, la poliziotta che faceva il verbale chiese per due volte di poter fare una pausa e uscì di fretta dalla stanza.
Quante volte avevo sognato quell’incontro. Tutti i piani folli che avevo macinato in testa, le scene che mi ero immaginata… Invece l’arresto era giunto molto casualmente, proprio quando avevamo perduto ogni speranza. Anche il poliziotto capo restò molto colpito, benché si sforzasse di non perdere il controllo. Ripeté diverse volte che quello che stavo raccontando era molto utile per le indagini. Mi disse che ogni volta che prendevano ragazze di Laggiù queste non aprivano bocca e spesso alla polizia capitava di liberarle per mancanza di prove. Perché non sei venuta a presentarti spontaneamente, tu che sembri la più coraggiosa? Perché quando una di noi ha avuto il coraggio di denunciare i boss, questi lo sono venuti a sapere subito da un informatore che hanno in mezzo a voi, e quella ragazza è stata uccisa. Questo è impossibile, si irritò, qui non succedono cose simili.
Gli raccontai degli occhi scomparsi di Milica, gli raccontai che quando ci riunirono intorno al suo corpo lei era morta, ma loro non avevano ancora sfogato tutta la loro rabbia.
Qui, se devo dire la verità, anch’io avrei voluto uscire per prendere un po’ d’aria. Dunque? chiese l’uomo. Continua. A Milica hanno cavato gli occhi in nostra presenza, dopo hanno preso il corpo per bruciarlo, ma hanno dimenticato di bruciare anche gli occhi. E gli occhi sono scomparsi come per magia. Dio mio, disse il poliziotto, sono anni che faccio questo lavoro e ne ho viste di cose, ma questa le supera tutte.
Fecero una breve pausa per il caffè. A me portarono una mezza pizza e un’aranciata.
Dopo dovetti raccontargli la storia di Minira, del piccolo Bled tenuto in ostaggio, di Angelo… Gli feci capire perché Minira si era ridotta peggio di tutte noi. Mi chiesero dov’era l’appartamento in cui tenevano sotto chiave il bambino. Non lo sappiamo. Nemmeno Minira lo sa. Lo tengono segreto. Minira viene da una provincia sperduta di Laggiù, una provincia tanto remota da sembrare ai confini del mondo. Non sa leggere, sa scrivere a memoria solo il suo nome. Angelo viene a prenderla lì dove dorme con le altre donne e la porta nell’appartamento dove tiene il bambino. Minira non parlerebbe mai, nemmeno se la facessero a pezzi. Ucciderebbero Bled, se lei parlasse.
Aiutateci, signor poliziotto. Il poliziotto capo uscì dalla stanza e rientrò dopo parecchio tempo.
Dobbiamo rilasciarvi. Ma voi dovete aiutarci ad arrestarli, e per far questo abbiamo bisogno di prove. Ma io vi ho raccontato tutto. Non basta. Fu lì che il cuore mi abbandonò e io cominciai a piangere. Tutte le mie speranze divennero in un solo istante polvere. Piansi a lungo… Molto a lungo. In ufficio entrò anche un ufficiale che a quanto pare era di grado più elevato.
Noi possiamo tenervi in un posto sicuro. Se avete paura di tornare da loro anche per pochi giorni, non vi obblighiamo. Possiamo organizzarvi il viaggio di ritorno al vostro paese. Ma, se facciamo così, voi non potete raccogliere prove contro di loro, dunque quelli resteranno liberi. Capito? Capito, ragazza? Abbiamo bisogno di tempo per trovare le prove su quanto ci hai raccontato. E prima di permettervi di ritornare nel vostro paese, dovete deporre in giudizio contro di loro.
Sentendo quelle parole, ricordo che alzai la voce. Loro ci avrebbero uccise, avrebbero ucciso anche i nostri genitori Laggiù, non lo capite? Noi non potremo mai deporre contro di loro, e non potremo in nessun modo ritornare Là. Loro ci troverebbero, ci troveranno ovunque. Ci uccideranno, come fate a non capirlo?
A questo punto decisi di raccontargli di Aurora. Io faccio la prostituta perché loro hanno ucciso Aurora per costringermi a ubbidirgli. Finora sono rimasta viva solo per amore dei miei genitori. Se consentissi loro di uccidermi, loro resterebbero soli. E ucciderebbero anche loro.
Dunque, non ci restò altro da fare che uscire dalla polizia e tornare dai boss. Avremmo dovuto comunque tornare, dal momento che Angelo teneva Bled. Intanto dovevamo trovare prove inconfutabili, dovevamo registrare ciò che dicevano e altre pazzie del genere.
La versione cartacea di SOLE BRUCIATO è purtroppo esaurita e fuori catalogo.
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